CORSO “CONTENZIOSO TRIBUTARIO”

Venerdì 16 marzo 2018 orario 14.00 – 17.00
Relatore: Dott. Alessandro Scilabra
Notaio in Torino
• La tassazione degli atti
• Rilievo del valore catastale come base imponibile
• Rapporti con gli altri criteri di determinazione della base imponibile

Il tema affidatomi è la tassazione degli atti, con particolare riferimento al rilievo del valore catastale e al rapporto di questo con gli altri criteri di determinazione della base imponibile.
Si rende necessario operare una preliminare distinzione tra atti rilevanti per l’eventuale applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto, imponibili o esenti che poi in concreto si trovino ad essere, e tutti gli altri atti, che sono fuori campo IVA e che a loro volta si suddividono tra atti a titolo oneroso (soggetti ad imposta di registro disciplinata dal D.P.R. 131/86) e atti a titolo gratuito o per causa di morte (soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni di cui al D.P.R. 346/90).
Imposta sul valore aggiunto
Iniziamo ad esaminare la prima categoria: gli atti in campo IVA, che sono tali se e in quanto ricadano nel perimetro applicativo del D.P.R. 633/72.
Si tratta delle operazioni che soddisfano contemporaneamente i tre requisiti:
– oggettivo (la tipologia di operazione, per quanto di interesse di questa relazione le cessioni di beni, anche gratuite se all’atto dell’acquisto o dell’importazione era stata operata la detrazione di imposta, comprese le vendite con riserva della proprietà, le locazioni con clausola di riscatto finale vincolante per entrambe le parti, escluse invece le cessioni di azienda e di terreni non edificabili e le assegnazioni ai soci di beni per i quali la società assegnante non ha detratto l’imposta in sede di acquisto, che quindi sono fuori campo IVA, mentre in caso contrario vi sono soggette);
– territoriale: effettuate nel territorio dello Stato;
– soggettivo: compiute nell’esercizio di imprese, arti o professioni: oltre che dagli imprenditori, a certe condizioni anche dagli enti non commerciali e dagli enti pubblici ove realizzino attività intrinsecamente commerciali.
Una volta appurato che ci troviamo in campo IVA, dobbiamo ulteriormente verificare se la cessione è imponibile, cioè se dà luogo ad applicazione del tributo (secondo l’aliquota ordinaria del 22%, o le due aliquote ridotte del 10% e 4%), o se la stessa, pur rilevante ai fini IVA, anche come presupposto per l’obbligo di fatturazione, è tuttavia esente da imposta.
Sono sempre imponibili IVA le cessioni di terreni edificabili e di fabbricati, abitativi o strumentali che siano, non ultimati, in quanto ancora nel circuito produttivo. In questo caso la base imponibile (art. 13) è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente, in sostanza, il prezzo di vendita.
Fino al 2006 era possibile evitare l’accertamento di valore dichiarando un corrispettivo almeno pari al valore catastale: così prevedeva l’art. 15 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 22 marzo 1995, n. 85. L’art. 35, comma 4, del D.L. 223/2006, convertito con legge 248/2006 (c.d. decreto Bersani) ha però abrogato questa disposizione, stabilendo che il corrispettivo potesse sempre essere rettificato in aumento se inferiore al valore normale, inteso come prezzo mediamente praticato per beni della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza. In sede di conversione fu poi aggiunto all’articolo 35 il comma 23 bis, il quale stabiliva che in caso di mutuo o finanziamento bancario il valore normale non potesse essere inferiore all’ammontare del finanziamento erogato.
Questa disciplina presentava più di un profilo di incompatibilità con la normativa comunitaria (come peraltro segnalato dalla stessa Commissione Europea con parere motivato notificato nell’ambito della procedura di infrazione numero 2007/4575), in quanto, al di là della sua formale natura procedimentale, almeno nella concreta applicazione poteva comportare una violazione del sistema comunitario IVA, in cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo e non dal valore di mercato. Intervenne quindi la legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009 n. 88), eliminando queste presunzioni legali.
La situazione attuale quindi è la seguente: il valore catastale, in ambito IVA, non ha più alcun rilievo; l’Agenzia delle Entrate può ancora accertare un maggior corrispettivo rispetto a quello dichiarato, sulla base però di una presunzione semplice e non più legale, il che comporta che l’accertamento non potrà essere motivato unicamente dallo scollamento tra prezzo e valore di mercato, ma dovrà essere sviluppato un percorso argomentativo più ampio, che integri questo elemento di fatto con ulteriori indizi, tali da assumere le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza che consentano di essere assunti a mezzo di prova (e salva sempre la facoltà per il contribuente di contestare la sussistenza di tali caratteristiche o di fornire comunque la prova che il mero scostamento dal valore normale non sia dipeso da un occultamento di corrispettivo).
La giurisprudenza da tempo consolidata in altri settori dell’ordinamento tributario attribuisce di per sè rilievo al comportamento antieconomico del contribuente che contratti a valori decisamente inferiori a quelli di mercato per inferirne un’infedele dichiarazione di reddito; nelle imposte indirette questo principio appare però alla dottrina più avveduta incompatibile con l’iter normativo che abbiamo delineato.
Ciò ha comportato un depotenziamento del potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, ma ci costringe comunque a tenere sempre presente il valore commerciale dei beni in campo IVA, quantomeno per consigliare ai clienti di valutare i rischi di un significativo scostamento.
In questo depotenziamento ricade anche il valore delle rilevazioni OMI, la cui rilevanza è spesso sconfessata in sede di contenzioso, e che oggi valgono come un indizio, di per sé non concludente né autosufficiente per fondare un accertamento. In sostanza, le quotazioni OMI possono essere utilizzate per individuare il valore venale in comune commercio, peraltro non sempre e non necessariamente da sole. Ciò peraltro era previsto sin dall’origine, prima ancora delle legge comunitaria, dallo stesso provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 27 luglio 2007, nel quale vennero fissate le disposizioni in materia di individuazione dei criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati, il quale specifica che i criteri sono stabiliti sulla base dei valori OMI integrati da altri fattori, quali il valore dell’eventuale mutuo, i prezzi effettivamente praticati nei medesimi zona e periodo, i prezzi che emergono da accertamenti o da offerte di vendita del controllato e al pubblico e dalla eventuale prova di ristrutturazioni desunte dagli archivi edilizi o dalla detrazione delle relative spese.
D’altra parte, quando il corrispettivo reale è effettivamente – e aggiungerei significativamente – inferiore al valore commerciale del bene non ci sono alternative che dichiarare (e tassare) il corrispettivo e incrociare le dita: in questo caso infatti siamo tra l’incudine del rischio di un accertamento e il martello dell’obbligo di dichiarare le analitiche modalità di pagamento, come imposto dal decreto Bersani, il che si traduce nell’obbligo di dichiarare il corrispettivo effettivo, senza alcuna possibilità di adeguarsi a un valore più elevato, nemmeno ai soli fini della tassazione.
Non dimentichiamo in questo ambito le disposizioni in materia di solidarietà previste dall’articolo 60 bis DPR 633/72: in caso di occultamento di corrispettivo (non anche di insufficiente dichiarazione di valore), il cessionario anche se non soggetto IVA è responsabile in solido per la differenza d’imposta e la sanzione e può regolarizzare la violazione provvedendo al versamento entro sessanta giorni dalla stipula; se poi anche il cessionario è un soggetto IVA la sua responsabilità solidale si estende anche al caso di prezzo inferiore al valore normale, nei limiti in cui ciò può assumere rilievo sulla base delle considerazioni che abbiamo sin qui svolto.
Sempre rimanendo in ambito IVA, le ipotesi più ricorrenti sono quelle in cui oggetto di cessione è un immobile ultimato; in questo caso, pur restando un’operazione che proviene da un soggetto IVA ed è comunque rilevante per gli altri obblighi in materia (fatturazione e rilevazione dell’operazione nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni periodiche e annuali), la regola è l’esenzione: ciò risulta con chiarezza dalla formulazione dei numeri 8 bis e 8 ter dell’articolo 10 del D.P.R. 633/1972. Già la collocazione è indicativa: la rubrica dell’articolo 10 titola infatti “operazioni esenti dall’imposta” e in una lunga elencazione individua le operazioni nelle quali il tributo non è dovuto.
Esaminiamoli separatamente.
Il numero 8 ter riguarda le cessioni di fabbricati strumentali.
L’individuazione oggettiva di questa classe di fabbricati, sulla base della univoca e costante prassi dell’Agenzia delle Entrate, avviene esclusivamente sulla base della categoria catastale: sono considerati strumentali tutti i fabbricati che non ricadono in categoria A e gli A/10. Con una particolarità: se l’immobile catastalmente considerato è in astratto strumentale, ma viene abbinato a un immobile a uso abitativo, acquistato contestualmente o anche già di proprietà dell’acquirente, il regime fiscale del bene principale assorbe quello della pertinenza, e quindi lo si considera alla stregua di un abitativo, con conseguente applicazione della disciplina prevista dal numero 8 bis, che esamineremo fra poco. Questo è pacifico quando l’immobile ricade nelle categorie tipicamente pertinenziali, e tali anche ai fini delle agevolazioni prima casa (lo ricordiamo anche se sono sicuro che lo sappiamo tutti: C/2, C/6 e C/7), un po’ meno scontato ma a mio avviso sostenibile anche se l’immobile ricade nelle altre.
Al di fuori di questa eccezione, la cessione di un immobile strumentale da parte di un soggetto IVA è soggetta a imposta sul valore aggiunto (al 22%, aliquota ordinaria) se il cedente è il costruttore o vi ha eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c, d, f, D.P.R. 380/2001 e viene formalizzata entro cinque anni dalla fine dell’intervento oppure se il cedente (che sia o meno il costruttore o il soggetto che ha realizzato l’intervento) opta comunque per l’assoggettamento a IVA. In caso di opzione IVA del cedente, se l’acquirente è a sua volta un soggetto IVA, si applica l’inversione dell’onere contabile, c.d. reverse charge, tematica che esula dai limiti di questa trattazione. In tutti gli altri casi la cessione è esente IVA, quindi permane l’obbligo di fatturazione ma il tributo non è dovuto.
In ogni caso, la cessione sia esente che imponibile sconta anche l’imposta di registro fissa (200 euro), l’imposta ipotecaria al 3% e l’imposta catastale all’1%. La base imponibile è in ogni caso il corrispettivo, senza alcun riferimento al valore catastale e con rischio di rettifica.
Se il fabbricato è abitativo (in realtà la formulazione normativa richiama i fabbricati diversi da quelli indicati nel numero 8 ter ma l’interpretazione pacifica riferisce la norma agli immobili a uso abitativo e relative pertinenze), anche qui la regola è l’esenzione. A mente del numero 8 bis, sono infatti imponibili solo le operazioni in cui il cedente è il costruttore o vi ha eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c, d, f, D.P.R. 380/2001, formalizzate entro cinque anni dalla fine dell’intervento oppure se il cedente (sempre che sia uno dei soggetti di cui sopra e questa è una differenza rimarchevole rispetto all’altra fattispecie) opti per l’assoggettamento a IVA, nonché le cessioni di fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali per le quali il cedente abbia optato per l’IVA. Tutte le altre cessioni sono esenti. In questo caso opera il principio di alternatività sancito dall’articolo 40 del D.P.R. 131/86 e pertanto si applica l’imposta di registro, che passiamo ora ad approfondire.

Imposta di registro
La base imponibile dell’imposta di registro dovuta per le cessioni di immobili è determinata in via generale dal combinato disposto degli articoli 43 e 51 del TUR nel valore venale in comune commercio. L’articolo 51 individua poi al comma 3 i criteri per determinare questo valore, stabilendo che l’ufficio debba fare riferimento ai trasferimenti e alle divisioni e perizie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni ovvero al reddito netto capitalizzato, nonché a ogni altro elemento, anche sulla base di indicazioni fornite dai Comuni.
Questa regola subisce due eccezioni.
La prima risiede nell’articolo 1, comma 497, legge 266/2005, norma che stabilisce che nelle cessioni in favore di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52 commi 4 e 5 DPR n. 131 del 1986 (il valore catastale), indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Questo il noto meccanismo del c.d. prezzo valore, il quale recupera all’applicazione dell’imposta sul valore catastale una rilevantissima classe di atti.
Dobbiamo per completezza ricordare che il medesimo comma 22 condiziona l’accesso a questo regime speciale alla completezza e veridicità delle informazioni rese dalle parti in merito all’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo e dell’eventuale mediazione, stabilendo che in caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati, oltre all’applicazione della sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 (e, per inciso alla commissione di un reato, avendo le parti dichiarato il falso avanti a un pubblico ufficiale) i beni sono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell’articolo 52.
Analizziamo nel dettaglio la fattispecie.
Presupposto negoziale: Cessioni: vendita, permuta e in generale atti in cui vi è un trasferimento a fronte di un corrispettivo, anche non pecuniario, purché ricadenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 43 del TUR, che è la norma derogata dalla disposizione in esame, e quindi i conguagli in sede di divisione, le transazioni con cessione di beni e, secondo quanto chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate nella recente risoluzione n. 113/E del 21 agosto 2017, i contratti atipici di mantenimento (articolo 43, lettera c: per i contratti che comportano l’assunzione di una obbligazione di fare come corrispettivo della cessione del bene, l’imponibile da tassare si determina sulla base del valore del bene ceduto o della prestazione che comporta l’applicazione della maggiore imposta. Le parti devono dichiarare in atto il valore della controprestazione assunta dal cessionario, determinata in via presuntiva).
Inizialmente la prassi dell’Agenzia delle Entrate dava prevalenza al dato letterale, con particolare riferimento alla necessità che la richiesta di avvalersi del prezzo valore fosse oggetto di una dichiarazione della parte acquirente rivolta al notaio; oggi è in atto una tendenza di matrice prevalentemente giurisprudenziale volta invece a valorizzare l’aspetto sostanziale della norma e quindi a espanderne l’ambito applicativo: di ciò è espressione la sentenza numero 6/2014 della Corte Costituzionale che, come noto, ha esteso l’applicazione del prezzo valore ai decreti di trasferimento nell’ambito delle esecuzioni immobiliari. Questo principio, almeno nella prassi piemontese, opera anche con riferimento ai decreti emessi nelle procedure concorsuali e nelle divisioni non endoesecutive.
In questa tendenza si inserisce anche la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 5751 del 9 marzo 2018, che afferma l’applicabilità del prezzo valore anche alle sentenze traslative ex art. 2932 c.c., per le quali l’AE si era invece espressa negativamente nella risoluzione 141 del 21 giugno 2007, a oggi non modificata, per cui al momento è opportuno essere prudenti.
Restano invece, per ora, esclusi dal prezzo valore:
– gli atti traslativi posti in essere da o in favore di Amministrazioni dello Stato con valore determinato dall’UTE in base a disposizioni di legge, disciplinati dall’articolo 45 del TUR, formalmente non derogato dalla disciplina in esame, che individua la base imponibile nel corrispettivo pattuito;
– i contratti costitutivi di rendite vitalizie, per i quali l’art. 46, anch’esso almeno formalmente non derogato, individua la base imponibile nel valore dei beni o, se maggiore, nel valore della rendita, che è pari al centuplo dell’annualità se la rendita è perpetua o a tempo indeterminato, al valore attuale calcolato al saggio legale di interesse se a tempo determinato e all’ammontare che si ottiene moltiplicando la rendita per i coefficienti stabiliti a tal fine (gli stessi dell’usufrutto) se vitalizia;
– le divisioni. La norma di riferimento è l’articolo 34 TUR a mente del quale la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. Quindi sui conguagli si applica il prezzo valore, per quanto sia abbastanza macchinoso il meccanismo delineato dalla prassi dell’AE, che prevede di riferire percentualmente il valore del conguaglio alla massa e quindi il valore degli immobili abitativi al resto degli immobili attribuiti per tassare come vendita la corrispondente percentuale del valore catastale. Per la parte assegnata ad apporzionamento delle quote, il comma 3 ci dice che quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio. A contrario, e qui direi che concordano tutti gli interpreti e la costante prassi notarile, se i valori dichiarati per ciascun lotto non sono inferiori ai valori catastali, l’Ufficio non potrà procedere a rettifica.
Il meccanismo qui è diverso dal prezzo valore: abbiamo una tassazione sul valore dichiarato, con preclusione alla rettifica se è almeno pari al catastale: se le parti, come di frequente accade se c’è un contenzioso in atto, vogliono far emergere i valori effettivi dei beni (il che in certi casi è addirittura consigliabile per prevenire future impugnazioni, specialmente per rescissione per lesione ultra quartum), tale più alto valore andrà a costituire la base imponibile, senza possibilità di riferirsi al valore catastale.
Qui si apprezza la differenza tra i due meccanismi di determinazione della base imponibile: nel caso classico la tassazione è sul valore dichiarato, che non può essere però contestato dall’AE se è almeno pari al valore catastale; nel caso di prezzo valore invece si tassa il valore catastale, indipendentemente dal corrispettivo che può essere più alto ma anche più basso. Se il corrispettivo è più basso infatti io potrei decidere di non avvalermi del prezzo valore, esponendomi però al rischio di un accertamento; non così nelle esecuzioni immobiliari, in quanto la Corte Costituzionale nella sentenza citata si è limitata ad estendere i benefici del prezzo valore a tale ambito, ma non ha anche abrogato l’art. 43; quindi se il prezzo di aggiudicazione è inferiore al valore catastale potrò legittimamente applicare l’imposta su questo importo e non subire accertamenti.
Presupposto soggettivo: nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali: rispetto alla versione originaria (cessioni tra privati) è stato ampliato significativamente in quanto non rileva la qualifica del cedente; se il cedente è un imprenditore viene fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, comma 1, lettera d) D.P.R. 600/73: l’ufficio potrà procedere alla rettifica di valore, se il corrispettivo è inferiore al valore normale, ma solo ai fini dell’imposta sui redditi.
Presupposto oggettivo: immobili ad uso abitativo e relative pertinenze:
immobili ad uso abitativo: qui mi richiamo a quanto già esposto: tali esclusivamente in ragione dell’attuale classificazione catastale: a nulla rilevano l’uso di fatto, la destinazione urbanistico-edilizia, il fatto che sia in corso una trasformazione edilizia del bene, se questa non è già sfociata in una corrispondente variazione catastale;
e relative pertinenze: l’opinione assolutamente prevalente è nel senso dell’irrilevanza del numero e della tipologia di beni pertinenziali: anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 23 del TUR che codifica anche in questo ambito l’antico brocardo accessorium sequitur principale. Quindi, purché anche la pertinenza sia iscritta in Catasto con attribuzione di rendita, la stessa potrà beneficiare del regime in esame. E questo vale non solo in caso di acquisto contestuale, ma anche di successivo acquisto della pertinenza, purché si dia atto della prepossidenza del bene principale e dell’asservimento a pertinenza dell’accessorio. Se il bene principale è di proprietà di un solo soggetto e la pertinenza è acquistata in comproprietà (ad esempio nel caso non infrequente di sopravvenute nozze e di instaurazione del regime di comunione legale), si ritiene che si possa comunque accedere al beneficio, purché il vincolo sia costituito da tutti gli aventi diritto.
Attenzione che sia il bene principale che la pertinenza devono essere iscritti in Catasto con attribuzione di rendita: se sono iscritti in categorie prive di rendita, scusate la banalità ma è meglio ricordarlo, non hanno valore zero ma sono tassati in base al valore venale di comune commercio che dovrà essere individuato e dichiarato dalle parti a tal fine.
Volendo quindi definire l’ambito di applicazione dei diversi criteri di determinazione della base imponibile nell’ambito dell’imposta di registro, possiamo individuare tre categorie:

• Cessioni nei confronti di persone fisiche di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze: Prezzo valore;

• Cessioni diverse, in cui non ricorrono i presupposti che abbiamo esaminato: per effetto del combinato disposto degli articoli 43, 51 e 52 ultimo comma la base imponibile è il valore venale in comune commercio o, se superiore, il corrispettivo. Qui non c’è alcuna preclusione al potere di accertamento dell’AE;

• Altri atti che non costituiscono cessioni (divisioni ad esempio): base imponibile è il valore venale in comune commercio. L’ufficio non può però sottoporre a rettifica il valore dichiarato in misura almeno pari al catastale.

Passiamo ora brevemente all’esame della base imponibile negli atti gratuiti e nelle altre imposte indirette.

Atti a titolo gratuito; cenni su imposta ipotecaria e catastale
L’imposta sulle successioni e donazioni si applica, oltre che alle successioni, a tutti i trasferimenti tra vivi a titolo gratuito, comprese le liberalità indirette e alla costituzione di vincoli di destinazione, quindi non solo alle donazioni.
La base imponibile è individuata dall’articolo 14 del TUS nel valore venale in comune commercio, ma l’articolo 34 comma 5 precisa che non sono soggetti a verifica i valori dichiarati in misura non inferiore al valore catastale.

Un cenno finale alle altre imposte indirette che si applicano ai trasferimenti immobiliari, le quali non vivono di luce propria ma utilizzano come base imponibile quella stabilita per l’imposta principale (registro, IVA o imposta sulle donazioni) cui accedono.

Imposta ipotecaria: la base imponibile è commisurata alla base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro o dell’imposta sulle successioni e donazioni (articolo 2 D.Lgs. 347/1990); se l’atto è esente o soggetto a imposta fissa la base imponibile è determinata secondo le disposizioni relative a tali imposte.

Imposta catastale (art. 10): 10 per mille del valore del bene determinato a norma dell’articolo 2, anche se assoggettato a IVA ex art. 10 n. 8 ter.

Alessandro Scilabra
Notaio in Torino

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista “Il Geometra” ed è scaricabile in formato pdf cliccando sul seguente link: IL GEOMETRA 2 2018_SCILABRA

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